Un viaggio in Portogallo è un viaggio nella memoria e nel tempo, nella melanconia e nel sogno, nella storia e nella realtà. Il Portogallo è un ponte sospeso tra un passato che si intreccia con il presente ed un futuro che è già dietro l’angolo, ma è anche un ponte sospeso tra l’Europa e l’Oceano Atlantico, perché è un Paese che guarda sì all’Europa, senza però rinnegare il legame culturale con le antiche colonie.
La saudade (parola intraducibile in qualunque altra lingua al mondo) esprime perfettamente quel sottile e struggente sentimento che attanaglia l’animo dei portoghesi, un sentimento che si dipana fra orgogliosa nostalgia e malinconico rimpianto per un passato di grandezza irrimediabilmente perduto, un passato fatto di viaggi e grandi esplorazioni, spirito d’avventura, desiderio di oltrepassare i limiti imposti dalle conoscenze geografiche.
Il Portogallo è sempre nel mio cuore. Ho visitato terre vicine e lontane, metropoli cosmopolite e villaggi sperduti, ho messo piede nei cinque continenti, dall’Equatore al Circolo Polare, dal Meridiano di Greenwich al Tropico del Capricorno; eppure, se ripercorro come in un flashback i miei tanti viaggi in giro per le strade del mondo, la mente mi riporta sempre ad un Paese affacciato sulle sponde dell’Oceano, un Paese affascinante e suggestivo, un Paese ospitale e gentile, un Paese il cui cielo ha una luce intensa, unica, con riverberi ampi e luminescenti: quel Paese si chiama Portogallo!
Nei Portoghesi si fonde in un perfetto connubio l’innato senso di ospitalità che è proprio dei popoli latini, con la disciplina ed il rispetto delle regole, che è tipico degli anglo-sassoni. La Storia ci ricorda che dopo la cacciata delle truppe napoleoniche, il Portogallo rimase per qualche tempo sotto la speciale tutela della corona britannica e, forse, qualche traccia del carattere dei sudditi di Sua Maestà è rimasta nei cromosomi del popolo Lusitano.
Osservo compiaciuto le persone disposte in fila indiana alla fermata del tram: il tram si ferma ed il conduttore segnala quattro posti liberi…i primi quattro della fila salgono a bordo e gli altri rimangono a terra, aspettando pazientemente la prossima corsa. Non posso fare a meno di pensare al caos indistinto che regna sovrano nella mia città…e me ne vergogno un poco.
Al volante i Portoghesi mostrano una cortesia d’altri tempi. Negli incroci stradali, ad esempio, l’automobilista di turno si ferma e lampeggia a chi sopraggiunge dall’altro lato: al mio Paese ciò significa “Scansati perché passo prima io!”; qui significa esattamente il contrario: “prego, passa prima tu!”. Sono solo piccoli segnali ma, ai miei occhi, appaiono sintomatici del carattere mite e gentile di questo popolo.
La sensibilità di un popolo si manifesta non solo con i gesti, le parole, gli usi e i costumi, ma anche mediante l’arte, di cui la musica, come diceva lo stesso Schopenhauer, ne è l’estrinsecazione suprema. Il Fado è la musica che caratterizza il Portogallo nel mondo, è il simbolo indiscusso dell’unità del Paese, ma è, al tempo stesso, un Patrimonio mondiale dell’Umanità, così come riconosciuto ufficialmente dall’UNESCO. Il Fado canta il sentimento, le pene d’amore, la nostalgia per qualcuno che è partito o l’attesa per qualcuno che potrebbe ritornare. Per chi volesse approfondire l’argomento, a titolo esemplificativo, suggerisco l’ascolto della voce cristallina di Teresa Salgueiro, vocalist dei Madredeus, storico gruppo nato tra i vicoli di Lisbona, che ha incantato le platee internazionali proponendo suggestive melodie di toccante intensità, arricchite da una voce intrisa di candore e sensualità.
Un Paese, inoltre, si conosce e si apprezza compiutamente anche attraverso le opere degli scrittori. Parlando di Portogallo è ovvio che venga subito alla mente Fernando Pessoa. Ho imparato ad amare il Portogallo, prima ancora d’esserci stato, proprio grazie alle poesie di Pessoa, autore che qualcuno definisce, insieme a Pablo Neruda, come il poeta più rappresentativo del ventesimo secolo. Ho avvertito il desiderio irreferenabile di conoscere questo straordinario Paese, subito dopo aver letto Sostiene Pereira, (capolavoro letterario del nostro Antonio Tabucchi): ho voracemente divorato il libro nel corso di una notte insonne di tanti anni fa; il mattino seguente, colto da “eroico furore”, mi misi subito all’opera e cominciai a pianificare quello che, col senno di poi, si sarebbe rivelato come uno dei viaggi più belli della mia vita.
Il mio viaggio in Portogallo comincia dalla città di Oporto, nel nord del Paese. Atterro direttamente con un volo proveniente da Milano ed affitto subito un’auto per iniziare la mia splendida avventura in terra Lusitana.
L’auto è il mezzo migliore per scoprire con calma i tanti tesori nascosti che questo Paese custodisce al suo interno. Non è ammissibile un viaggio distratto e veloce consumato nell’arco di pochi giorni: non si capirebbe nulla del Portogallo e si tornerebbe a casa senza alcuna coscienza critica di ciò che avremmo potuto cogliere ma che non siamo neppure riusciti a capire.
Oporto, o semplicemente Porto (come la chiamiamo noi Italiani) è una città che non può proprio mancare nella lista dei posti da vedere di ogni viaggiatore e, una volta arrivati, sarà facile capirne il perché.
E’ una città in grado di conquistare sin dal primo momento, grazie ad i suoi vicoli stretti e suggestivi, laddove si avrà modo di ammirare la quotidianità, fatta di panni stesi e scalinate che conducono in luoghi dove il tempo sembra essersi fermato. Imperdibile, a mio avviso, una passeggiata tra le case decadenti (ma dall’atmosfera magica) del quartiere della Ribeira, da cui si potrà ammirare un panorama mozzafiato delle barche che trasportano i barili del celeberrimo vino, passando sotto il Ponte Dom Luis, una costruzione in ferro realizzata da un allievo di Gustave Eiffel (quello della torre di Parigi, per intenderci).
I tanti bambini di strada che si lanciano nel vuoto dall’alto del ponte, per poi guadagnarsi a nuoto la sponda del fiume Douro, rimarranno un ricordo indelebile nella mia memoria…
A ovest del quartiere della Ribeira vi è una delle meraviglie nascoste di Porto: La Igreja de São Francisco: dall’esterno non è niente di speciale, ma dentro è completamente adornata d’oro. Una vera e propria gioia per gli occhi!
La Cattedrale di Porto, invece, è la principale chiesa cattolica della città. Si trova su un’altura e dalla sua piazza si ha un panorama meraviglioso di Porto, del suo fiume e della zona delle cantine.
A proposito di cantine, sulla sponda opposta del fiume Douro rispetto alla Ribeira, si apre un paradiso per gli appassionati del vino: qui infatti si trovano le cantine dei produttori del famoso vino Porto, esportato in tutto il mondo. La degustazione è gratuita: io non sono andato, ma mi riprometto di farlo se ci sarà un’altra occasione.
Tra le tante pittoresche strade da segnalare, vi suggerisco Rua de Santa Catarina: è la strada principale della città alta, su cui si affacciano bellissimi palazzi ricoperti di azulejos, le tipiche piastrelle di ceramica decorate e smaltate d’azzurro, che rappresentano una costante che vi accompagnerà per tutto il viaggio in Portogallo.
In Portogallo, gli azulejos sono una delle più peculiari forme artistiche e, da questo punto di vista, persino la stazione di São Bento a Porto ne è una grande testimonianza, che dimostra come l’arte si possa trovare, talvolta, anche dove meno ce lo potremmo aspettare: l’entrata di questa stazione è davvero spettacolare e ne consiglio una visita, anche a quelli che non devono prendere il treno.
Con poco meno di un’ora di guida tranquilla e rilassata, da Porto arrivo ad Aveiro, una ridente cittadina che i Portoghesi (esagerando non poco) definiscono la “piccola Venezia”.
Posto che Aveiro non ha nulla a che vedere con Venezia, sicuramente la cittadina rappresenta, comunque, una gradevole sosta durante il mio viaggio in Portogallo. Ancora poco nota al turismo di massa, pur non avendo il carisma di Lisbona o il carattere fiero di Porto, tuttavia Aveiro ha una sua ragion d’essere, un suo fascino romantico che la rende degna quantomeno di una sosta per la pausa pranzo.
Adagiata tra il mare e la laguna, la città è attraversata da canali solcati dai coloratissimi moliceiros, barche tradizionali dalla forma affusolata, originariamente usate per la raccolta delle alghe ed oggi, invece, usate come mezzo di trasporto per crociere sul fiume.
Aveiro, probabilmente non è un must, ma secondo me non dovreste lasciarvela scappare perché forse, il fascino del Portogallo, sta anche nel coraggio di rompere gli schemi, nell’uscir fuori dalle piste più battute e, magari, scoprire piccole gemme nascoste come questa.
Una sessantina di chilometri separano Aveiro da Coimbra, una delle più importanti città Portoghesi. Camminando per le strade del centro storico, tra bar, ristorantini e vecchie osterie, l’aria è invasa da voci giovanili provenienti da tutte le direzioni: non è un caso, visto che Coimbra è la città universitaria per eccellenza in Portogallo ed è definita dagli stessi Portoghesi “culla del sapere”, proprio perché è sede della più antica e prestigiosa Università del Paese.
Dopo una visita all’Università ed una foto al suo incantevole chiostro, con una leggera deviazione raggiungo il Miradouro Santa Clara, da cui si gode un bel panorama sulla città.
A due passi da Coimbra si trova il bosco di Buçaco, un patrimonio naturale di inestimabile valore, appartenuto per secoli all’Ordine dei Carmelitani ed oggi dichiarato “Bene di interesse nazionale”. Per più di duecento anni i monaci vissero in questo luogo in regime di totale isolamento, impegnati nella preghiera e nella contemplazione ascetica della Natura. Durante quel lungo periodo i monaci, inoltre, piantarono alberi di tantissime specie diverse (provenienti da tutte le parti del mondo), costruirono un convento e plasmarono la foresta, trasformandola in un luogo idilliaco.
Nel cuore della foresta colpisce la mia attenzione uno splendido Palazzo Reale, un vero gioiello architettonico in perfetto stile “Manuelino”, che è una sorta di reinterpretazione portoghese dello stile gotico del Nord Europa in cui, l’elemento decorativo ed ornamentale delle facciate degli edifici, prende decisamente il sopravvento rispetto all’elemento strutturale. Di fronte all’ingresso del Palazzo si apre un meraviglioso giardino con siepi, laghetti e fiori, affiancato da un vialetto con un pergolato ricoperto dai glicini.
Lascio il bosco di Buçaco con una piacevole sensazione di pace che mi pervade lo spirito, ma la strada davanti a me è ancora lunga e così mi rimetto in auto, in direzione Fatima, il più noto Santuario Portoghese, simbolo di spiritualità e meta di pellegrini da ogni parte del mondo.
Giungo a destinazione e confesso che il primo ed istintivo sentimento che avverto è quello di profonda tristezza. Uno stretto sentiero lastricato di marmo che conduce sino al Santuario è percorso in ginocchio da persone che chiedono una grazia o che, magari, quella grazia l’hanno appena ricevuta. In lontananza, si spande per l’aria la voce dei fedeli che pregano, che appare alle mie orecchie come una sorta di malinconica litanìa.
Forse non mi accompagna lo spirito giusto per cogliere il vero senso nascosto che si cela da oltre un secolo dietro il mistero di questo luogo di fede; sta di fatto che dopo meno di un’ora sono di nuovo a bordo della mia auto e mi ricaccio alla ricerca di un nuovo tassello da incastonare in questo (sinora) splendido mosaico che sto realizzando in giro per un Paese che si sta rivelando, giorno dopo giorno, sempre più affascinate e coinvolgente.
Un segnale stradale di colore giallo indica il simbolo di una cattedrale ed una scritta: “Batalha”. Non so ancora di che cosa si tratti, ma l’istinto mi dice di seguire l’indicazione ed imboccare la strada. Dopo pochi chilometri si apre dinanzi ai miei occhi la vista di un’immensa cattedrale costruita nel bel mezzo del nulla…la classica “cattedrale nel deserto”.
Batalha è solo un paesino di poche anime, ma la sua notorietà è dovuta proprio a questo stupendo monastero, un mirabile e spettacolare esempio di architettura gotica, un vero e proprio “delirio in stile Manuelino” in cui si fondono, in un mix di sublime bellezza, merletti di pietra, pinnacoli, archi e balaustre di una incantevole tonalità ambrata che si accendono al tramonto. Rimango abbagliato da cotanta bellezza e lo stupore misto a meraviglia mi pervade nel momento clou della visita, quando ho l’onore ed il privilegio di accedere all’incantevole chiostro del monastero, certamente uno dei più bei chiostri di tutto il Portogallo, se non addirittura il più bello. Ma come ho fatto altre volte, preferisco far parlare le immagini, piuttosto che continuare a spendere parole che, da sole, non sono sufficienti a spiegare la realtà delle cose.
A Batalha decido di fermarmi per una notte. Come detto, nel piccolo paesino non c’è null’altro da vedere (a parte il maestoso complesso monastico). Tuttavia, la giornata che volge al termine mi regala un’ultima emozione: l’osteria della signora Fernanda!
In un vicoletto a poche centinaia di metri dal monastero, passando sotto un porticato, arrivo in questa trattoria piuttosto buia, all’apparenza lercia, affollata esclusivamente da avventori locali. La proprietaria mi accoglie con un bel sorriso: è un donnone di circa cinquant’anni, appesantito dalla “ciccia” e dallo scorrere del tempo…eppure, nonostante ciò, traspaiono sul suo volto i segni di un’antica bellezza, ormai quasi completamente svanita.
Mi rimetto completamente nelle sue mani per la scelta del menu e, francamente, non me ne pento: Fernanda cucina in maniera semplice e deliziosa; mentre assaporo, boccone dopo boccone, il suo eccellente “frango asado” mi sento molto a mio agio…ho la sensazione di trovarmi in un ambiente davvero familiare, lontano anni luce (fortunatamente) dagli chef pluristellati e dagli inganni della nouvelle cousine. Il conto, inutile a dirlo, praticamente irrisorio.
Il mattino seguente, dopo circa un’ora di guida, arrivo a Nazarè, uno dei centri balneari più rinomati del Portogallo. Il paese, con le sue graziose casette bianche, non è male; la spiaggia, invece, mi sembra abbastanza deludente.
Il viaggiatore autentico ha spesso un itinerario di massima, ma non ha mai un piano rigidamente prestabilito: è sempre flessibile ai sentimenti ed alle sensazioni contingenti. Abbandono Nazarè, dove avevo previsto di spendere almeno una notte, e dopo venti minuti arrivo in un paesino sconosciuto ma incredibilmente suggestivo: Sao Martinho do Porto.
Prendo una camera alla Pensao Americana, una pensioncina a conduzione familiare dove, con una cifra da ostello, mi viene data una stanzetta graziosa, pulita e profumata. L’accoglienza è calorosa, la colazione dignitosa. Mi fermo un paio di notti e ne vale la pena. Purtroppo non ho scritto una recensione su Tripadvisor (e me ne pento) e la struttura non ha neppure un suo sito-web; tuttavia, vi caldeggio fortemente il posto e, nel caso siate interessati alla Pensao Americana, è sufficiente lanciare la ricerca su “Google” e verrete indirizzati ai soliti intermediari turistici (come booking.com) dove, naturalmente, è possibile procedere con l’eventuale prenotazione.
Sao Martinho do Porto, come dicevo, non è un Paese a vocazione prettamente turistica, ma questo, a mio avviso, lo rende forse ancora più accattivante. Da segnalare delle meravigliose e gigantesche dune di sabbia che arrivano sino al mare, un mare cristallino, racchiuso all’interno di una piccola baia che, dopo una stretta imboccatura, si apre in direzione dell’Orizzonte verso l’immensità dell’Oceano Atlantico.
Dopo la sosta a Sao Martinho, riprendo la marcia in direzione Sud, sino ad arrivare ad un altro piccolo grande gioiello del Portogallo: Obidos.
Le mura perimetrali (che è possibile percorrere a piedi) racchiudono completamente questa incantevole cittadina medievale. Dalle mura si possono ammirare splendidi panorami sui tetti e sulle case dipinte di bianco della città, adornate di immancabili fiori alle finestre. L’intera passeggiata richiede circa un’ora, ma mi corre l’obbligo di segnalare che ci sono numerosi rischi di inciampo e praticamente nessuna balaustra.
La città è dominata da un castello che, in tempi più recenti, è stato trasformato in un lussuoso hotel: la location è davvero unica per un soggiorno di una notte. Io, comunque, mi sono accontentato di un economico alberghetto a due stelle, privilegiando il budget, al fascino della dimora storica…
Comincia una nuova entusiasmante giornata e riprendo il mio percorso verso la costa meridionale del Paese. Da queste parti, per effetto dell’influsso oceanico, al mattino c’è sempre una fittissima nebbia che rende la visibilità quasi nulla. Procedo lentamente alla guida lungo una strada di montagna che, dopo circa cento chilometri, mi conduce ad uno sperone roccioso, sulla cui sommità si staglia il Castello di Sintra.
Il castello, che nelle intenzioni originarie del sovrano che ne ordinò la costruzione (di cui non ricordo il nome), avrebbe dovuto rivaleggiare con il ben più noto castello tedesco di Neuschwanstein, mi appare in tutto il suo eccentrico splendore: i colori variopinti, l’accozzaglia di stili differenti che lo caratterizzano e la nebbia che lo avvolge, contribuiscono a dargli un’aria un po’ fiabesca, oserei dire surreale.
Non ho tempo per visitarne l’interno, perché ho deciso di puntare dritto verso un altro luogo mitico, verso un’altra icona del Portogallo: Cabo da Roca.
Arrivo a destinazione: la nebbia tarda a dissiparsi, il luogo circostante, contrassegnato da un suggestivo faro che svetta su una rupe, si presenta ai miei occhi drammaticamente solitario e battuto da un forte vento… ma lo scenario desolato non mi dispiace affatto.
In fondo è proprio ciò che mi aspettavo di vedere in un punto geografico che, come recita testualmente una targa posta ai piedi del faro, è un punto “onde a Terra se acaba e o mar começa”, letteralmente “dove la Terra finisce ed il mare comincia”, un punto che per molti in passato rappresentava non semplicemente il confine occidentale d’Europa, bensì… la fine del mondo!
Cabo da Roca, infatti, è un promontorio aspro e selvaggio che, effettivamente, segna il punto più occidentale del continente europeo. Fino alla fine del 14° secolo si credeva che le scogliere battute dal vento di Cabo da Roca fossero proprio i confini del mondo.
Lo spettacolare paesaggio che ammiro dalla scogliera a strapiombo, mentre la nebbia pian piano si dissolve, mi offre l’opportunità di vivere un momento di intensa emozione.
La strada panoramica prosegue passando per una serie di località balneari, alcune di fama internazionale, come Cascais ed Estoril, altre meno note ma, dal mio punto di vista, non meno affascinanti, come Sesimbra, dove decido di pernottare all’Hotel Espadarte, un piccolo albergo in cui si respira il profumo di un antico splendore, uno splendore appena offuscato dall’usura del tempo. La camera non è particolarmente spaziosa, il mobilio appare datato, ma la vista di cui si gode dal terrazzino è a dir poco incredibile, di quelle che non dimenticherò mai più: l’Oceano Atlantico mi sta davanti in versione panoramica a centottanta gradi!
Per finire in gloria (gastronomica) la serata, mi lascio tentare da uno dei tanti ristorantini che si affacciano sul lungomare, lì dove è ubicato anche il mio albergo. L’odore del pesce alla brace è davvero irresistibile. Tradizione consolidata vuole che in Portogallo, nei paesini di mare, i ristoranti collochino in bella mostra i loro barbecue, davanti alla porta d’ingresso del proprio locale, per cui, inevitabilmente, si spandono nell’aria profumi indescrivibili.
La temperatura è mite, l’aria è gradevole: un tavolo all’aperto, tra lo scoppiettio delle braci e quanto di meglio possa desiderare. Purtroppo non ricordo il nome del ristorante (ma credo che, più o meno, tutti quelli della zona abbiano un ottimo rapporto qualità prezzo). Ciò che, invece, ricordo distintamente è il delizioso Arroz de Marisco (un tipico piatto portoghese a base di riso, gamberi, vongole e cozze) da me ordinato su suggerimento del simpaticissimo cameriere…); rimango, invece, leggerissimamente deluso dall’Espadarte (un enorme trancio di pesce spada dell’Atlantico, decisamente meno saporito rispetto a quello che si pesca nei nostri mari); ed infine, per togliermi lo “sfizio”, chiudo con un assaggio di un’altra specialità portoghese: un piatto di Sardinas asadas. Tecnicamente, sarebbero “sardine alla brace” anche se, per dovere di cronaca, occorre dire che i pesci in questione, da quelle parti, non hanno le dimensioni che ci si potrebbe aspettare, sono qualcosa di più delle nostre sardine…ma qualcosa di meno degli sgombri; al di là dell’aspetto tecnico, il gusto è sublime. Il tutto, naturalmente, annaffiato dal solito vino locale, bianco frizzantino, servito, come sempre, a temperatura (quasi) glaciale!
Sono ormai alle porte di Lisbona ed il programma originario prevedeva, a questo punto, di puntar dritto verso la capitale Lusitana, che dista da Sesimbra appena quaranta chilometri. Parlo con alcune persone del luogo… e cambio idea. In fondo, viaggiare significa anche saper cambiare opinione, quando le circostanze lo richiedono. E’ questa è una di quelle circostanze: a circa duecento chilometri ad Est, nell’arido entroterra del Paese, lungo la strada che porta alla frontiera con la Spagna, si trova la città di Evora, una gemma nascosta che qualche tempo fa è stata scoperta anche dall’UNESCO che l’ha dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Passeggiare per le vie del centro di Evora è come sfogliare un libro di Storia: Il modo migliore per visitarla è, naturalmente, a piedi, percorrendo le vie strette, fiancheggiate da case bianche, per scoprire a poco a poco, tutti i monumenti e le peculiarità che caratterizzano la ricchezza del suo immenso patrimonio.
Tra gli innumerevoli monumenti a cielo aperto e le tante Chiese, un cenno a parte va fatto per la Igreja de São Francisco, che è un tipico esempio della combinazione dello stile moresco con quello gotico, assai diffuso in questa regione del Portogallo. Tuttavia, ciò che rende davvero unica questa Chiesa non è lo stile architettonico, bensì l’annessa Cappella, sintomaticamente chiamata “Dos Ossas” (cioé delle ossa), poiché i pilastri su cui si regge e le pareti che la circondano sono completamente rivestiti da scheletri umani. L’atmosfera è, a dir poco, agghiacciante, vi assicuro che un brivido vi percorrerà la schiena se deciderete di varcare la soglia d’ingresso della Cappella ma, a conti fatti, credo che la visita valga la pena… non vi capiterà mai più, in nessun altro luogo al mondo, di ritrovarvi circondati da tibie e teschi…
Questo lungo viaggio che mi ha portato, da Nord a Sud, alla scoperta di un paese fantastico, volge ormai al termine: dopo le ultime due ore di guida a bordo dell’utilitaria presa a noleggio dodici giorni prima, infine arrivo a Lisbona che, senza alcun dubbio, è considerata da chiunque come una delle città più romantiche ed affascinanti al mondo.
Sin dal primo impatto, attraversando il Ponte de 25 abril, colgo in maniera evidente lo stretto legame che ancora intercorre tra la madrepatria e le antiche colonie oltreoceaniche. Sullo sfondo, infatti, in cima ad una collinetta che domina la città, campeggia il Cristo Rei, una riproduzione esatta dell’immagine del Cristo Redentore che si trova a Rio de Janeiro, e che, come è noto, è anche il simbolo della città brasiliana
Il ponte, forse per via del colore, mi ricorda il Golden Gate, già visto qualche tempo prima a San Francisco e, così come la bellissima città Californiana, anche Lisbona si adagia su varie colline, a diverse altitudini. Le analogie non finiscono qui: a San Francisco gli spostamenti urbani sono assicurati dai mitici Cable Car; anche a Lisbona vi è un servizio di trasporto funicolare, garantito dagli Elèctricos, che permettono di raggiungere quartieri altrimenti (quasi) inaccessibili, come il Bairro Alto o l’Alfama, superando pendenze veramente impegnative, ai limiti della sfida alle leggi della fisica.
Ai pittoreschi Elèctricos si affiancano gli altrettanto bizzarri elevadores, termine che designa due funicolari (Elevador Gloria ed Elevador da Bica) e, soprattutto, un ascensore urbano: l’Elevador Santa Justa.
L’Elevador Santa Justa è una delle attrazioni più fotografate della Baixa (il centro storico e commerciale di Lisbona), che collega, per l’appunto, la zona bassa della città con i quartieri alti.
L’opera, realizzata da un allievo di Gustave Eiffel, è una meraviglia dell’era industriale, sia per gli esterni in ferro battuto con stupendi archi neo-gotici, che per i suoi interni eleganti e sontuosi. Dalla sua piattaforma panoramica è possibile ammirare tutto il centro di Lisbona.
Dal punto di vista puramente funzionale, l’ascensore permette di eliminare la faticosa scalata sulla collina del Bairro Alto e, in tal modo, consente di giungere in tutta comodità sino alle rovine della Igreja do Carmo, una suggestiva Chiesa parzialmente distrutta dal terremoto del 1755: di essa, dopo il sisma, rimasero in piedi solo le navate centrali, mentre il tetto, crollato in quella circostanza, non fu mai più ricostruito.
Per accedere bisogna pagare un biglietto d’ingresso ma, credetemi, ne vale proprio la pena: l’atmosfera è davvero suggestiva.
Oltre al Bairro Alto, un altro quartiere imperdibile nella parte alta della città è l’Alfama. Schiacciato tra il Castello di São Jorge e il fiume Tago, questo quartiere custodisce l’anima tradizionale di Lisbona.
Per visitare l’Alfama decido di non seguire un itinerario prestabilito: ho preferito perdermi tra viuzze, vicoli, scale, piazze, piccoli giardini e terrazze panoramiche. Tra le case popolari con i panni stesi all’aperto ad asciugare, il tempo anche qui sembra davvero essersi fermato. Particolarmente piacevole la mia breve sosta alla Igreja de Santa Luzia, decorata da bellissmi azulejos: a poca distanza un miradouro da cui si gode una vista impareggiabile sui tetti della città e sul fiume Tago (che a Lisbona chiamano Tejo).
Il quartiere è anche la culla del Fado, la struggente musica tradizionale di cui avevo parlato all’inizio di questa lunga pagina dedicata al mio viaggio in Portogallo: per una notte magica si può cenare in una delle tradizionali “Case do Fado” del quartiere, accompagnando la cena a note malinconiche e romantiche.
Per quanti fossero interessati, ho anche lasciato una recensione su Tripadvisor, in relazione alla mia esperienza personale vissuta tra i vicoli dell’Alfama: chi volesse, può leggerla cliccando qui.
L’elenco delle cose da vedere a Lisbona potrebbe diventare interminabile, poiché ad ogni angolo, ad ogni vicolo, si aprono scorci di ineguagliabile bellezza. Lisbona non si può non amare e chi non ne è rimasto folgorato, è solo perché non ha avuto la fortuna ed il privilegio d’averla vista con gli occhi del vero viaggiatore. Lisbona non è adatta al profanatore “mordi e fuggi” e forse, a pensarci bene, è l’intero Paese che risulta inadeguato per il turista frettoloso e superficiale.
Esigenze di sintesi mi impongono di chiudere questa pagina su uno dei Paesi che ho più amato, tra tutti quelli da me visitati, tuttavia, prima di chiudere, non posso proprio fare a meno di raccontare di un ultimo affascinante quartiere di Lisbona: il Belèm.
Adagiato sulle rive del fiume Tago, il quartiere di Belém, dominato dalla presenza dell’imponente omonima torre-fortezza, è un incanto da visitare durante una delle tante giornate di sole, grazie ad un lungofiume che si snoda per chilometri, agli ampi spazi aperti con parchi e giardini ed ai decoratissimi monumenti in stile manuelino, che sembrano risplendere sotto i raggi solari.
Proprio da questo punto della città, partì la spedizione di Vasco de Gama (di qualche anno successiva a quella di Cristoforo Colombo), che gli consentì di scoprire la mitica “via delle Indie”. Da allora immense ricchezze affluirono in Portogallo e ancora oggi a Belém si celebra il trionfo di quell’impresa con un monumento di marmo bianco che sembra protendersi verso il mare.
A pochi passi dal monumento a Vasco de Gama, vi è l’incantevole Monastero dos Jeronimos, all’interno del quale è seppellito, tra altri grandi, anche lo scrittore Fernando Pessoa.
I monaci geronimi che per quattro secoli abitarono all’interno del monastero, avevano la specifica funzione spirituale di assistere e confortare i marinai prima del lungo viaggio che li attendeva verso terre lontane e sconosciute. L’ordine fu poi disciolto ed il convento venne dapprima trasformato in una scuola, poi in un orfanotrofio, quindi venne dichiarato monumento nazionale ed infine, Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO.
Oggi, sicuramente, il Monastero dos Jeronimos è una delle attrazioni più visitate a Lisbona e ciò che, a mio avviso, rende imperdibile la visita, è lo straordinario chiostro, certamente uno dei più belli al mondo: un trionfo di decorazioni manueline, con bassorilievi e sculture in pietra dorata, che si accendono di splendidi riflessi color miele con la luce calda del sole.
Il mio racconto sul Portogallo termina qui, ma ciò che rimarrà per sempre custodito nel mio cuore è il ricordo di un viaggio fantastico in una Terra di cui mi sono perdutamente innamorato e dove un giorno, presto o tardi, mi auguro di poter ritornare.
Hello Giovanni,
Thankyou for the rather poetic writing and pictures of Portugal.
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Thanks a lot for your comment: to tell you the truth I left my heart in Portugal and, as I wrote above, hope to come back there one day!
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Ora capisco, hai fatto veramente unbellissimo viaggio 🙂
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😊
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Ciao Giovanni, Sfortunatamente i miei viaggi in Portogallo non sono così d’estesi come i tuoi. Molto anni fa sono andata al’Algarve. L ‘ultimo anno sono andata a Lisbona. I tuoi fotografie e l’articolo bellissimo era un piacere leggere. Hai catturato perfettamente lo spirito di Lisbona. Il nostro viaggio giorno a Sintra in treno era perfetto, se un po duro sulle gambe 🙂 Ho continua a leggere i tuoi articoli con crescente facilità.Buonasera Lynne
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Grazie per il tuo commento Lynne: ho visitato da nord a sud il Portogallo ma non sono andato nella zona balneare dell’Algarve, dove invece sei stata tu.
Magari potrebbe essere un’idea per un prossimo viaggio in Portogallo? Chissà…
Ciao e buona serata anche a Te!
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