TOKYO: UN VIAGGIO VERSO IL FUTURO
Ci sono città che presentano una chiave di lettura univoca e svelano subito ai visitatori la loro anima; altre, invece, mostrano mille sfaccettature differenti, risultano di più difficile interpretazione, appaiono sfuggenti, talvolta inafferrabili se non, addirittura, incomprensibili.
Per quel che mi riguarda Tokyo, almeno a prima vista, appartiene a questa seconda schiera di città.
Andare a Tokyo non è soltanto muoversi nello spazio, ma anche (e soprattutto) nel tempo: non a caso, la prima sensazione che ho avvertito mettendo piede nella mitica capitale del Sol Levante è stata quella d’aver percorso un viaggio dritto verso il futuro.
Come in un caleidoscopio impazzito, Tokyo combina i suoi colori e li dissolve in infinite forme differenti. Tutto appare fanaticamente tecnologico ed incredibilmente gigantesco.
Rimango sorpreso dalla quantità di gente che esce ed entra ritmicamente dai treni, che si accalca agli attraversamenti pedonali, che si mette in fila ai ristoranti: una marea umana nella quale per un momento ho seriamente pensato che mi sarei potuto dissolvere, rimanendo risucchiato o, peggio ancora, polverizzato.
Gli ideogrammi incomprensibili, i grattacieli, le distanze sproporzionate, la selva di cartelli e segnalazioni che dappertutto rimandano a qualcos’altro, le luci a neon dagli sfavillanti colori: bisogna riconoscere che tutto questo (in specie a coloro come noi che provengono dall’altra parte del mondo) può dare alla testa e può farci sentire persi in un labirinto senza uscita, disperatamente e paradossalmente soli in mezzo a milioni di persone…
In verità, una città come Tokyo, a mio avviso, ha bisogno di più tempo per essere compresa appieno, occorre metabolizzarne la logica per riuscire a cogliere l’ordine che si nasconde sempre e comunque dietro il caos solo apparente.
Se resisteremo alla tentazione di abbandonarci ad un frettoloso giudizio sommario, allora impareremo ad amare Tokyo ben al di là di quel volto tentacolare, disumanizzante ed ipertecnologico che la città mostra di sé in prima battuta e che, non a caso, ha ispirato le scenografie futuribili e alienanti del film Blade Runner.
La grande area urbana di Tokyo, con i suoi oltre 35 milioni di abitanti è, in valore assoluto, la più popolosa al mondo ed inoltre, giusto per rendere l’idea, ha un’estensione territoriale pari a quella di una regione italiana di media grandezza, come la Campania o il Trentino Alto-Adige.
Questi dati da soli appaiono sufficienti a spiegare la grande difficoltà che ho avvertito allorquando, accingendomi a pianificare il mio viaggio a Tokyo, ho cercato di individuare una zona di Tokyo centrale e convenientemente ubicata, dove focalizzare la mia attenzione per la ricerca di un albergo.
Tokyo, infatti, alla stregua di altre grandi megalopoli sparse per il mondo, può essere definita “multicentrica”: non esiste un’area centrale da contrapporre alla periferia suburbana ma, al contrario, vi sono innumerevoli quartieri che è possibile definire “centrali” e ciascuno di questi può distare dagli altri anche decine di chilometri.
Per fortuna, l’efficienza del sistema di collegamento assicurato dalla metropolitana e dalla rete urbana ferroviaria rendono le distanze meno significative di quanto si potrebbe pensare, pertanto, sappiate che in qualunque quartiere vi troverete, vi saranno sufficienti al limite trenta o quaranta minuti, per raggiungere in tutta comodità un quartiere diametralmente opposto al vostro.
Per quanto mi riguarda, dopo le comprensibili titubanze iniziali, la mia scelta è infine ricaduta su Asakusa (pronuncia giapponese: Asaksà), un quartiere molto tradizionale e popolare dove, sullo sfondo non lontano di grattacieli e costruzioni avveniristiche come la “Sky Tree”(una torre panoramica che con i suoi 600 metri d’altezza è l’edificio più alto del Giappone), è tuttavia possibile respirare ancora l’atmosfera della vecchia Tokyo, fatta di mercatini di strada, negozietti di souvenir, ristoranti di vario genere e piccoli alberghi a costi mediamente contenuti.
Durante il mio soggiorno a Tokyo ho alloggiato in uno di questi alberghi (Asakusa Central Hotel), ubicato proprio sulla strada principale del quartiere.
Ad un prezzo ragionevole (almeno per gli standard giapponesi non proprio a buon mercato), ho trovato cortesia, gentilezza, educazione e pulizia quasi maniacale, con tanto di disinfettante spray per le mani prima di accedere ai luoghi comuni (quali reception, sala colazione, ascensore…). La camera che mi viene assegnata è di buone dimensioni e gode di un bel panorama sui grattacieli lontani.
Da segnalare due cose:
- il letto più comodo su cui abbia mai dormito;
- il water più tecnologico su cui mi sia mai seduto, dotato di pulsantiera elettronica con tasto per riscaldare la tavoloccia, tasto per deodorare l’ambiente, tasto per ascoltare musica sinfonica durante i propri “bisogni” e persino “tasto-bidet”, con possibilità di regolare il getto d’acqua (secondo le preferenze) a pressione oppure, in alternativa, a pioggerella…
Per dovere di cronaca occorre segnalare che tale trionfo di tecnologia non è una mera stravaganza dell’Asakusa Central Hotel, ma una tradizione consolidata in ogni toilet e sala da bagno giapponese: non sfuggono alla regola della pulsantiera elettronica neppure i bagni pubblici!
Il quartiere di Asakusa è noto anche e soprattutto per uno dei più antichi templi di tutto il Giappone: il Tempio Senso-ji.
Con la sua storia millenaria il Tempio di Senso-ji rappresenta non solo il più importante tempio buddista della città, autentico cuore pulsante di una comunità locale molto vivace e gentile, ma anche e soprattutto una della mete preferite dai turisti che si recano in visita nella capitale del Sol Levante.
Dopo esservi avvicinati al braciere d’incenso inalando il fumo che, secondo i giapponesi, è propedeutico alla purificazione del corpo, potrete ammirare la bellezza degli interni del tempio.
Quindi, con tutta calma, vi consiglio di godervi l’area intorno all’edificio religioso, veramente piena di negozietti e posti carini dove mangiare qualcosa.
A proposito di cibo da strada, una citazione particolare va fatta per il “melonpàn”, uno speciale pandolce di forma circolare cotto al forno e ripieno con gelato alla vaniglia, tipico di tutto il Giappone. Gli abitanti di Tokyo sostengono che proprio nella capitale si può gustare il miglior “melonpàn” del Paese e, in particolare, dicono che il più buono in assoluto sia quello di “Kagetsudo”, una piccola bottega a pochi passi dal Senso-ji, facilmente riconoscibile per la lunga coda di avventori disciplinatamente in fila a tutte le ore del giorno.
Ho provato il “melonpàn” di Kagetsudo, l’ho trovato squisito, e l’occasione è stata propizia anche per scattare una foto a due simpatiche ragazze vestite in abiti tradizionali, anch’esse intente ad ingurgitare il mitico melonpàn di Kagetsudo.
Rimanendo in tema di cibo occorre sfatare il mito secondo il quale i ristoranti giapponesi siano inavvicinabili, in quanto estremamente costosi. Chiarisco subito come stanno le cose: per chi ha voglia di farsi spennare non c’è problema! Vi è, ovviamente, un’ampia gamma di ristoranti pluristellati dove per una cena occorre firmare una cambiale. Di contro, è possibile ripiegare su piccoli ristorantini accoglienti e molto frequentati dalla gente del posto, in cui i prezzi, in genere, sono sensibilmente inferiori rispetto a quelli nostrani.
Nella zona di Asakusa c’è solo l’imbarazzo della scelta. Se siete a caccia di Sushi, andate a colpo sicuro: “Sushi Zanmai Kaminarimon”. Locale accogliente, personale cortese, pesce squisito (persino per uno come me che, di norma, non va pazzo per il sushi), prezzi abbordabili.
Se siete appassionati di carne, allora vi consiglio “Gyukatsu”, un piccolo ristorantino dove vi attende una bistecca tenera e succulenta; la particolarità consiste nel fatto che la carne viene servita cruda: sul vostro tavolo troverete una griglia in pietra su cui adagiare la bistecca sino a cuocerla secondo il vostro gusto personale. Anche qui il prezzo è onesto… oscilla intorno ai quindici euro. Unico problema: Gyukatsu è davvero molto popolare, specie fra la gente del posto, quindi preparatevi ad attendere a lungo prima di guadagnare il vostro tavolo, considerando che non accettano prenotazioni ed il turno è esclusivamente fisico.
Se infine volete provare la classica tempura giapponese, allora la scelta è obbligata: “Tempura bowl Tenya”. Più che un ristorante, direi che si può definire una trattoria tipica. Il personale non parla inglese ma è, comunque, estremamente gentile; il fritto a base di verdure così come quello a base di pesce risulta davvero delizioso e leggerissimo; i noodle in brodo sono un vero piacere per il palato. Prezzi irrisori (cinque o sei euro a persona per un pasto completo, beveraggio incluso).
In tema di prezzi e modalità d’acquisto in terra nipponica volevo segnalare, a beneficio di chi decidesse di recarsi in Giappone confidando sull’uso più o meno esclusivo della carta di credito, che nonostante questo sia un Paese chiaramente votato alla più sfrenata tecnologia, stranamente la moneta “elettronica” è assai meno diffusa del denaro contante (almeno rispetto agli standard europei): non soltanto molti ristoranti e negozi di vario genere, ma persino i taxi e le casse automatiche della metropolitana accettano esclusivamente banconote. Partire dall’Italia con un po’ di Yen per fronteggiare quantomeno le spese di prima necessità può essere, pertanto, una buona idea!
Continuando il tour alla scoperta di Tokyo, ad un paio di fermate di metropolitana da Asakusa, imperdibile una visita al parco di Ueno, uno dei polmoni verdi della città. Se arrivate in Aprile, rimarrete estasiati dagli oltre mille alberi di ciliegio in fiore che adornano il percorso centrale del parco. In ogni caso, anche negli altri periodi dell’anno, vale davvero la pena perdersi per i viali alberati di Ueno, tra templi buddisti, bancarelle con cibo da asporto, mimi e artisti da strada, un giardino zoologico e persino un laghetto artificiale dove è possibile affittare una barca e godere della bellezza del Parco da un’altra prospettiva mentre, sullo sfondo, domina il solito skyline con gli immancabili grattacieli.
Ad un tiro di schioppo dal Parco di Ueno, con una piccola deviazione proprio a fianco dell’uscita dalla stazione ferroviaria della linea sopraelevata JR, non mi sono lasciato scappare l’occasione per un bagno di folla a spasso tra le viuzze del caratteristico mercato di Ameyoko: in origine in questo luogo aveva sede il mercato nero di Tokyo. Oggi, naturalmente, non si pratica più il commercio clandestino; tuttavia non si può non rimanere ammaliati dalle urla dei tantissimi commercianti che mettono ogni giorno in bella mostra le loro mercanzie e, sbraitando, cercano di attrarre l’attenzione dei tanti visitatori che si accalcano come in un tram nell’ora di punta e forse anche peggio…
Procedendo a piedi, in direzione opposta a quella verso cui vedo muoversi le folle oceaniche di turisti e vacanzieri, dopo circa un chilometro di cammino o poco più, approdo a Yanaka, un quartiere che, lontano dal ritmo vorticoso e frenetico che regna sovrano in molte altre aree della città, può essere definito, di contro, una vera oasi di pace e di tranquillità.
Ci finisco quasi per caso e ne rimango affascinato. Non ci sono grattacieli, neon e insegne pubblicitarie; al loro posto casette basse, negozietti un po’ usurati, ristorantini, bancarelle, vecchi templi e gatti che scappano nei vicoli.
A Yanaka non manca neppure un antico cimitero che diventa molto bello in primavera con la fioritura dei ciliegi. Fra le tombe (alcune risalenti al XVII secolo) si respira una grande pace.
Forse Yanaka non offre al turista nessuno degli highlight iconici di Tokyo che predominano nell’immaginario collettivo, forse non c’è nulla di famoso o davvero importante da vedere, tuttavia, se un giorno vi troverete anche voi in giro per le strade di Tokyo, mi permetto di consigliarvi di fare una piccola deviazione dagli itinerari turistici più gettonati ed arrivare sin qui: ne vale davvero la pena!
Per gli amanti delle foto panoramiche dall’alto, suggerisco due soluzioni valide e completamente gratuite:
- la terrazza all’ottavo piano dell’edificio che ospita l’Ufficio di informazioni turistiche di Asakusa: da lassù si gode una bella vista dell’intero quartiere e, se andrete di notte (l’orario di chiusura è previsto alle 23:00), avrete la possibilità di ammirare da una prospettiva particolarmente suggestiva il Tempio Senso-ji ed il percorso pedonale che ad esso conduce, illuminati da un trionfo di luci sfavillanti.
- il grattacielo del Governo Metropolitano di Tokyo, nel quartiere di Shinjuku: dall’alto del 45° piano a cui si accede mediante un rapidissimo ascensore (dopo aver superato i soliti controlli di routine di borse e zaini), il panorama dell’intera città a 360 gradi davanti ai vostri occhi è davvero mozzafiato. Nelle giornate particolarmente limpide pare sia possibile scorgere in lontananza persino il Monte Fujii: ho scrutato a lungo la linea dell’Orizzonte nella speranza di individuarne l’iconica sagoma, ma inutilmente… tuttavia, al di là di questa piccola delusione, l’esperienza è stata decisamente entusiasmante!
Tra i quartieri Cult di Tokyo, appare imperdibile una visita a Shibuya, famoso non solo per essere sede di locali alla moda, ristoranti, discoteche e divertimenti d’ogni genere, ma anche perché, proprio di fronte l’uscita dell’omonima stazione di metropolitana, si trova quello che viene definito l’attraversamento pedonale più trafficato al mondo. Ad ogni semaforo verde, centinaia e centinaia di pedoni si catapultano sulla strada, seguendo una traiettoria convergente di strisce pedonali che tagliano a raggiera la piazza principale di questo vivace ed animato quartiere.
Mi sono assicurato un ottimo punto di osservazione dell’incrocio, salendo al primo piano di Starbucks, che si trova proprio in uno degli edifici prospicienti la piazza, guadagnandomi un tavolino davanti ad una delle finestre che danno sulla strada.
Ho approfittato della sosta anche per una veloce colazione, assaporando una deliziosa fetta di torta e sorseggiando una tazza di Macha, la pregiatissima variante di tè verde giapponese, per il quale sembra che il popolo del Sol Levante nutra un vero e proprio culto.
A due passi dall’incrocio, in posizione defilata, in mezzo ad un giardinetto circondato da panchine, si trova la statua del cane Hachiko.
Per chi non conoscesse la storia, eccola in breve: fin da quando Hachiko era un cucciolo, ogni sera correva alla stazione di Shibuya ad attendere pazientemente il ritorno a casa del suo padrone, un professore di fisica dell’Università di Tokyo. Un giorno quell’uomo venne colpito da infarto sul luogo di lavoro e non ritornò più a casa. Nonostante ciò, il fedelissimo compagno di una vita continuò ad aspettarlo invano fuori dalla stazione, ogni giorno, per i successivi nove anni, fino alla morte.
La storia vera, commovente e strappalacrime è divenuta celebre nel resto del mondo grazie al film interpretato da Richard Gere ma, nel suo Paese, Hachiko è sempre stato popolarissimo proprio perché, con la sua totale dedizione, incarna nella maniera più nobile il simbolo di assoluta fedeltà, una qualità, questa, che viene particolarmente apprezzata dai giapponesi…
Chi va a Tokyo e visita il quartiere di Shibuya, non può fare a meno di assistere alla processione di giapponesi che accarezzano la scultura del cane in quell’angolo dell’immensa piazza.
Se non siete particolarmente appassionati di mode giovanili alternative, se non vi interessa il Regno dei Cosplay, allora potete girare alla larga da Takeshita Street, un ignobile budello in cui letteralmente “trascinati” da un’inarrestabile fiumana di adolescenti, vi ritroverete nel bel mezzo di una serie di negozietti di abbigliamento per ragazzine strampalate che cercano disperatamente di personalizzare il proprio look, ispirandosi al Punk, al Gothic, passando anche per lo stile Lolita.
Se, invece, così come me, non avete paura dei bagni di folla e pensate che anche questo è un aspetto della cultura giapponese di cui, comunque, bisogna tener conto, allora lanciatevi nella marea umana, incrociando le dita e sperando di uscirne sani e salvi!
Per ritemprare lo spirito dopo l’esperienza “allucinante” di Takeshita Street, non c’è nulla di meglio che recarsi a far visita al santuario di Meiji jingu, il più importante Tempio Shintoista di tutto il Giappone, che paradossalmente si trova a soli duecento metri da quell’inferno umano.
Il tempio è immerso nello splendido parco di Yoyogi, e fu eretto all’inizio del secolo scorso in onore dell’Imperatore Meiji e della sua sposa. Il parco è costituito da più di centomila alberi inviati dagli abitanti di tutto l’Arcipelago per onorare la memoria dell’imperatore.
All’interno del parco, prima di giungere al tempio, si svolgono spettacoli e rappresentazioni di vario genere…
Il Tempio è un luogo di culto ancora in attività e non è raro assistere a dei matrimoni o a cerimonie ufficiali in cui sfila l’alta società nipponica sfoggiando abiti di estrema eleganza in linea con la più ferrea tradizione.
Infine, dopo il solito rito della purificazione, non rimane che entrare all’interno del Tempio ed osservare in religioso silenzio…
Una volta entrati nel Tempio, in cambio di un piccolo contributo in denaro, vengono offerti ai visitatori delle piccole tavolette di legno con su incisi dei versetti in un genere di poesia giapponese chiamato “waka”, composti dall’imperatore e dalla sua sposa.
Ho trovato particolarmente piacevole la visita al Meiji jingu, specialmente per la calma e la tranquillità che pervade questo luogo intriso di misticismo.
Se vi rimane ancora del tempo a disposizione e non siete ancora paghi di parchi o giardini, non lasciatevi scappare il bellissimo (e poco frequentato) Hama-Rikyu, un giardino metropolitano, situato a Chuo Ward, a breve distanza dall’antico Mercato del Pesce.
All’interno del Parco, un trionfo di fiori d’ogni tipo, un laghetto d’acqua di mare la cui portata d’acqua è regolata dal flusso delle maree e, soprattutto, una deliziosa casa del tè, interamente realizzata in legno, dove con pochi spiccioli si può degustare dell’ottimo tè accompagnato da pasticcini, mentre vengono impartite ai visitatori le regole più basilari dell’arte giapponese della cerimonia del tè.
Il riflesso del ponte e della sala da tè nello stagno, con lo sfondo degli immancabili grattacieli che si stagliano in lontananza, al di là della macchia verde degli alberi, offrono una vista mozzafiato.
E per finire, il giardino di Hama-Rikyu mi offre un regalo insperato: l’ultimo ramo di ciliegio ancora fiorito, sopravvissuto al tepore di una primavera ormai inoltrata…
Il mio tempo a Tokyo finisce qui. E’ evidente che per avere una visione più completa ed esaustiva del Giappone, con la sua storia e la sua cultura millenaria, occorra un altro viaggio monografico, alla scoperta delle aree più remote del Paese. E per questo spero ci sia dell’altro tempo, in futuro.
Tuttavia, il mio passaggio dalla capitale giapponese mi ha lasciato un’emozione nel cuore e mi ha aiutato a capire un po’ meglio un popolo così diverso dal nostro, estremamente educato e gentile ma mai sino al punto da risultare servile, un popolo organizzato, costantemente proteso verso il futuro e, al tempo stesso, ancorato ai valori tradizionali.
In questa terra meravigliosa il passato ed il futuro, infatti, sembrano intersecarsi continuamente senza stridere, i due orizzonti temporali coesistono in maniera equilibrata ed armoniosa.
Ripenso al Giappone e la mia mente si affolla di immagini diverse ma non contrastanti tra loro, quasi alla stregua di facce di una stessa medaglia; il Giappone non è solo treni a lievitazione magnetica, avveniristici grattacieli e stravaganze tecnologiche, il Giappone è anche la cerimonia del tè che si consuma da secoli sempre nella medesima immutabile maniera, l’arte della disposizione dei fiori che segue regole antiche e rigorose, la filosofia zen e il tiro con l’arco, il Giappone si sintetizza persino nell’espressione senza tempo dipinta sul volto di una ragazza in kimono che, con olimpica serenità, sorseggia un drink mentre mostra ad un’amica il suo smartphone di ultimissima generazione…
Il Giappone è tutto questo e forse altro ancora… ma sono già in aeroporto e non mi rimane più tempo a disposizione, se non quello sufficiente a sbrigare le ultime formalità, prima del lunghissimo volo che mi riporterà a casa.
Mi reco al banco del check-in e l’impiegata addetta mi porge la carta d’imbarco indicandomi, con estrema precisione, il numero del gate e l’orario di chiusura dell’imbarco; quindi, nel congedarmi, mi regala un sorriso di cerimonia ed una serie di inchini quasi imbarazzanti. Istintivamente, in cenno di saluto, anch’io mi inchino verso di lei e penso che, in fondo, mi dispiace ripartire, mi dispiace lasciare questa terra affascinante e misteriosa forse perché cominciavo proprio ad abituarmi a questo mix di gentilezza ed efficienza di cui, lasciatemelo dire, nel nostro Paese si sente così tanto il bisogno…