La barriera linguistica

Nelson Mandela diceva: “se parli ad un uomo in una lingua a lui comprensibile, arriverai alla sua testa. Se gli parli nella sua lingua, arriverai al suo cuore”.

Non c’è frase migliore di questa per sottolineare l’importanza di conoscere le lingue straniere per chi ama viaggiare in giro per il mondo, poiché la conoscenza delle lingue ci permette di relazionarci meglio con le persone che incontriamo lungo la strada, aumentando in modo esponenziale la possibilità di arrivare se non ai loro cuori, quantomeno alle loro teste.

Chi rimane, invece, imprigionato nei limiti culturali imposti dalla sua lingua-madre, soprattutto quando questa (come l’Italiano) è parlata nel mondo da un’esigua minoranza di individui, difficilmente potrà relazionarsi in maniera disinvolta con gli altri, ed a causa della barriera linguistica, dovunque andrà, gli sarà quasi certamente preclusa ogni possibilità di arrivare sia alla testa che al cuore della gente.

Ho sempre considerato la conoscenza di una seconda lingua, in specie di una lingua “franca” quale l’Inglese, come una sorta di “passaporto” metaforico, di gran lunga più efficace rispetto al passaporto cartaceo che tutti noi possediamo e che tiriamo fuori in aeroporto, in occasione dei nostri viaggi all’estero.

La conoscenza delle lingue, infatti, apre una serie di opportunità, non solo durante un viaggio, ma persino ancor prima che un viaggi cominci. Con buona pace di booking ed altri siti specializzati nella ricerca degli alloggi, nessun motore di ricerca online potrà mai sopperire all’incapacità linguistica di relazionarsi, ad esempio, direttamente con il proprietario di una Guest House, concordando preventivamente i dettagli dell’arrivo e specificando eventuali esigenze particolari.

Amo viaggiare e ho la chiara consapevolezza che se non avessi saputo parlare in Inglese, i miei viaggi sarebbero stati molto meno interessanti e, soprattutto, molto meno interattivi di quanto, in realtà, siano stati.

Ho notato che una delle caratteristiche che accomunano spesso i viaggiatori indipendenti rispetto a coloro che, di norma, non viaggiano, oppure, al limite, si spostano da un luogo all’altro esclusivamente comprando pacchetti turistici organizzati, è la padronanza delle lingue straniere, in particolare, la padronanza dell’inglese.

Il viaggiatore, nel suo solitario ed “egregio” cammino (letteralmente: fuori dal “gregge” cioè dal gruppo), è spontaneamente, e direi anche, necessariamente, stimolato a parlare con la gente del luogo, a porre domande e ad ascoltare risposte, il suo obiettivo, in viaggio, è conoscere uomini e cose e questa forte motivazione lo ha portato a sviluppare, in modo naturale, quelle capacità linguistiche che soltanto in questo modo possono essere sviluppate.

Non sono un linguista, tuttavia sono del tutto certo che ciò che realmente occorra, per imparare una lingua straniera, non è quella presunta “predisposizione” di cui parlano gli insegnanti mediocri per giustificare i loro fallimenti professionali, né tanto meno uno studio nevrotico e compulsivo; ciò che occorre, invece, è, principalmente, una forte motivazione, il coraggio di parlare ed una grande capacità d’ascolto, tre caratteristiche di cui, di norma, un viaggiatore non difetta.

Il turista occasionale, invece, specie quello Italiano (e qui chiamo in causa anche le disfunzioni del nostro sistema scolastico… ), a prescindere dal suo livello culturale, non appena oltrepassa i confini nazionali, si scontra con l’annoso problema della barriera linguistica.

Infatti, qualora per qualunque motivo, sia esso serio o faceto, le circostanze rendano necessaria una conversazione anche elementare con un interlocutore straniero, il povero turista, nel disperato tentativo di bypassare il problema linguistico, ricorre a qualunque mezzo a sua disposizione: inventa parole, fa ampio uso di gesti, annuisce senza ragione e, talora, per togliersi dalla difficoltà, dispensa sorrisi per dare l’impressione d’aver capito e d’aver la situazione sotto controllo, anche quando, in realtà, non ha capito nulla e gli eventi gli sfuggano completamente di mano.

A poco vale, nel caso dei cosiddetti viaggi “organizzati”, il supporto dell’accompagnatore turistico: il suo compito, a mio modesto giudizio, è solo quello di frapporsi fra noi e la magia dei luoghi che visitiamo come uno scomodo schermo protettivo, e la sua utilità, il più delle volte, si riduce nel risolvere problemi da lui stesso creati o, al limite, problemi nei quali, senza la sua invadente presenza, non saremmo mai incappati.

Su un piano strettamente pratico, la conoscenza delle lingue, oltre tutto, può rendere un viaggio assai più semplice nelle più diverse ed imprevedibili situazioni: leggere e comprendere un’indicazione stradale, comprare un farmaco o, persino, esser capaci di chiedere a qualcuno dove sia il bagno, può far sì che un piccolo o grande problema si possa trasformare in una divertente esperienza.

Conoscere la lingua ci permette, inoltre, di interagire meglio con gli altri: a volte è sufficiente anche una semplice frase, qualche parola, per stimolare una sorta di “empatia” tra due persone che non si conoscono.

Persino se il nostro livello linguistico non è dei migliori, la gente, comunque, apprezzerà e sorriderà al nostro tentativo di parlare con loro, a prescindere da ciò che vogliamo dire e da come lo diremo: anche una frase sgrammaticata, talvolta, può risultare buffa e contribuire a spezzare le barriere linguistiche.

E finanche il non essere del tutto fluenti rivelerà agli altri qualcosa di noi, ci mostrerà per ciò che siamo, e cioè viaggiatori umili e predisposti ad esplorare ed imparare, e certamente, chiunque si fermerà a parlare con noi lungo la strada, capirà che non siamo arrivati sin lì solo per scattare uno stupido selfie da “postare” su Facebook.

Credo che quando sarò ormai vecchio e mi volterò indietro a ripensare ai momenti più memorabili della mia vita, certamente, fra gli altri, penserò a quelli in cui ho viaggiato ed ho avuto l’opportunità di relazionarmi con le persone parlando direttamente con loro: il dialogo si è rivelato uno strumento indispensabile perché mi ha aiutato a superare le barriere e comprendere meglio il punto di vista degli altri.

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6 pensieri riguardo “La barriera linguistica

  1. Mi piace 🙂

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  2. Another interesting article that describes my language learning journey so well. Many years ago my French language teacher told me that I was rubbish at languages and I gave up, During my travels around Europe I have always tried to say at least “Hello, Goodbye, Please and Thank you” in the language of the country.After many trips to Italy I have been learning the language for 2 years. My last couple of trips to Italy I have overcome the Language barrier and had the confidence to speak in Italian. Wow ! the sense of pride is amazing. I asked for and received directions, to my amazement I arrived at my intended destination. The Italians clearly appreciate my efforts, we may laugh at my errors but I don’t care I have tried. Try explaining to your spouse why the Italian waiter is kissing your hand, all I did was apologise for my mistake. I wish I had had the courage years ago to overcome this barrier and hope Giovanni that your article inspires others to try to overcome the Language barrier. I have certainly gained so much more than a new language.

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  3. Thank you so much for your priceless words: you really got my point!
    Learning a foreign language can totally change our life for better: in fact, by means of languages we can overcome some of our fears and anxieties, learn more about ourselves, meet new people and even travel to places we would have never thought to visit before.
    You’re right, it doesn’t matter if we make mistakes during the “learning journey”… honestly, I think confidence comes not from always being right, but from not fearing to be wrong. All in all, mistakes are proof we are trying 🙂
    Take care and keep following my blog!

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  4. Bellissimo pensiero… ed è proprio la realtà dei fatti!

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  5. Grazie Anna: sia per essere passata dal mio blog che per aver lasciato un segno con il tuo apprezzamento 🙂

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